Sei di Libero? Allora io non ti curo

Venerdì scorso sono scivolato in moto su un tratto ghiacciato di strada. Mi ha raccolto l’ambulanza e portato nell’ospedale più vicino. Al pronto soccorso, fatti i primi esami un medico di turno mi ha imbragato la gamba destra. Finendo la fasciatura a un ginocchio assai malridotto, mi ha chiesto che mestiere facevo. “Giornalista? A Libero? Doveva dirmelo prima, non l’avrei medicata”. Non era una battuta, tanto che poi ha filosofeggiato pure sul perché. Tornato dopo l’operazione al ginocchio, ho aperto il mio blog che tengo da qualche anno mettendovi tutti gli articoli che scrivo. Faccio il giornalista da 28 anni, ho lavorato in più testate. Cerco notizie, quando le trovo le offro ai lettori. E ho avuto la fortuna di potere dire anche quel che penso. Da settembre- cioè da quando sono venuto a lavorare a Libero- i commenti sono assai simili. L’ultimo è esemplificativo: “Sparati” e l’invito è esteso ad altri colleghi di questo giornale, compreso il suo direttore, Maurizio Belpietro, e chi lo aveva diretto prima, Vittorio Feltri. “Sparatevi”, ed è una carineria rispetto al solito. Su facebook ho circa 6 mila “amici” e non pochi se ne sono andati: “ah, la stimavo. Ma da quando è a Libero non più”. Insulti e sberleffi, gruppi che nascono per eliminare il politico o il giornalista che non piace sono pane quotidiano in quel mondo virtuale dove pochi per altro si presentano a volto scoperto, rubando identità altrui o indossando maschere di fantasia. Sì, c’è un odio montante in giro che non ricordavo dai tempi della scuola e dell’università, che ho fatto fra la metà degli anni settanta e la metà degli anni ottanta. Una differenza c’è, ed è che mai l’odio è stato tanto stupido come quello che gira adesso. C’è sempre stata una componente di stupidità enorme dietro odio e violenza politica. Ma si accompagnavano a qualcosa di reale: una frattura fra generazioni, una distanza siderale del potere dalla realtà, una serie di disagi realmente e largamente vissuti. Quello di oggi è solo stupido e basta. Nuota nel nulla, corre attraverso le reti virtuali, trova per strada leader vuoti e inconsistenti come raramente è accaduto. Non è meno pericoloso, perché guardate cosa ha combinato negli anni la stupidità negli stadi italiani. Ma è odio di quel genere lì, che in fondo gira tutto esclusivamente intorno a una persona, quella di Silvio Berlusconi. Ed essendo stupido e impolitico, si sparge su qualsiasi tentativo di ragionare sui fatti e sulle cose al di fuori di quello schema pro o contro Silvio. Così può perfino capitare che con quello schema l’odio prenda nel mirino di volta in volta un Pierluigi Bersani o un Enrico Letta o un Antonio Polito che semplicemente da sinistra provano a ragionare. E al contrario santifichi nel modo più impolitico e strumentale possibile un Gianfranco Fini solo finchè si immagina lui possa essere la leva ideale con cui rovesciare Berlusconi. C’è stata leggerezza che purtroppo ha accompagnato questa stupidità coccolandola e facendola crescere per un piccolo tornaconto personale. Lo ha fatto Antonio Di Pietro, politico dalla mono-idea (il partito della fedina penale) non in grado di andare al di là di quell’orizzonte, e insieme a lui ha provato a mettersi alla testa del movimento degli stupidi organizzati anche qualche leader più fragile culturalmente e politicamente della sinistra, come Dario Franceschini e Rosy Bindi. Poi si è infilato in mezzo qualche regista, attore, conduttore, scrittore e giornalista che semplicemente sulla stupidità organizzata ha trovato il modo di campare meglio, magari facendosi una villa in più al mare. Ma è solo business, oggi spreme gli stupidi, domani spremerà qualcun altro. Poi c’è qualcosa di più serio e meno stupido, ed è quella parte di elite italiana che per via democratica mai è riuscita a raggiungere il potere (al massimo ha piazzato qualche suo esponente) e che da sempre cerca di farlo in modo illegittimo: è la vera cupola d’Italia, e dentro ha il cosiddetto partito di Repubblica, qualche manipolo di intellettuali, un po’ di finanza, un po’ di magistratura deviata, gli utili idioti del momento che alla bisogna vengono scaricati. Non c’è dubbio che le fila di questo nuovo clima che ha portato al fattaccio domenicale di piazza del Duomo, alla caccia al ciellino all’università di Milano, alla violenza e all’odio che qua e là stanno esplodendo, da quella cupola siano state tirate. Fecero così con i Forlani i Craxi e gli Andreotti, risparmiarono De Mita e Prodi ritenendoli utili ai loro disegni, dal primo giorno hanno ripuntato i cannoni su Berlusconi e chiunque gli si avvicini. E’ il nulla che riempe questo odio che sgomenta, non la contrapposizione, non la diversità di idee, lo scontro anche aperto sui problemi che toccano la nostra vita quotidiana. Non credo che si esca da questo clima con appelli alla pacificazione che sembrano tanto per bene ma sono falsi e traditori. Se ne esce riempendo di contenuti veri la diversità, con una politica che si riappropri dei suoi spazi reali e abbandoni quelli virtuali. Ci si scontri, ma sul senso della vita e su come costruire un modello di società. Non su questo o quell’uomo, ma sul significato della realtà. E se ne uscirà.

C'è un processo che ha Di Pietro contro Berlusconi. Il pm è Santoro. Le carte sono in mano a Fini. E non è fiction

C’è un processo che prevede un presunto colpevole, e qui non si fatica ad immaginare: è Silvio Berlusconi. Ha una parte offesa che ha denunciato il premier, e anche qui sembra tutto scontato: si tratta di Antonio Di Pietro. Ha naturalmente un pm che accusa, che si chiama Santoro. E qui la novità è solo che non si tratta di docu-fiction: non è un processo televisivo, ma un processo vero. E per il pm Santoro si tratta di banale omonimia: non c’è parentela con il Torquemada della tv di Stato. Il processo si sta svolgendo a Bergamo, tribunale presso cui Di Pietro circa un anno fa ha querelato Berlusconi dopo una puntata di Porta a Porta in piena campagna elettorale 2008 in cui il leader del Pdl aveva apostrofato così l’ex pm: “E’ un emerito bugiardo che non ha nemmeno la laurea valida”. Da lì appunto querela e processo. Che è già stato congelato in conseguenza del lodo Alfano, ma è ripreso il 18 novembre scorso in una breve udienza preliminare davanti al gip Patrizia Ingrascì in cui non si sono presentati né querelante né querelato (entrambi per legittimo impedimento) e a dire il vero nemmeno i due avvocati di fiducia (Sergio Schicchitano per Di Pietro, Niccolò Ghedini per Berlusconi), che si sono fatti sostituire da due giovani corrispondenti del foro locale. Pochi minuti d’udienza, per accogliere la richiesta della difesa, e cioè verificare con la Camera se Berlusconi dava del bugiardo a Di Pietro coperto o meno da immunità parlamentare. E poi intero fascicolo messo in busta e spedito il 25 novembre scorso con destinazione Camera dei deputati. La posta fra istituzioni non deve essere un modello di efficienza, perché per amara ironia del caso quel fascicolo giudiziario, quello con Di Pietro parte offesa, Berlusconi presunto colpevole e Santoro pubblico ministero, è arrivato nelle mani del presidente della Camera, Gianfranco Fini lunedì 14 dicembre, il giorno dopo l’aggressione a Berlusconi in piazza del Duomo a Milano. Nel bel mezzo della bagarre parlamentare fra Pdl e lo stesso Di Pietro che con toni da querela e controquerela stavano appunto commentando i fatti della domenica milanese. Per altro al “bugiardo” dato da Di Pietro a Berlusconi era subito arrivato come contro-risposta un “bugiardo” di Di Pietro a Berlusconi, ed era stata immediatamente annunciata una contro-querela che però mai è stata presentata. Più volte Di Pietro ha presentato in questi anni querele a Silvio Berlusconi perfino di fronte a giudizi generici sulla magistratura che non lo citavano direttamente. Al contrario, pur essendosi sentito dare del “bugiardo”, del “corruttore”, del “criminale” e anche del “mafioso”, Berlusconi ha annunciato querela a Di Pietro ma poi l’ha presentata in una sola occasione, assai recente, quando durante la campagna per le europee il leader dell’Italia dei Valori definì il premier “un magnaccia di veline”. Il processo è a Campobasso, dove il gip in prima battuta ha ritenuto subito non meritevole di alcuna considerazione la querela di Berlusconi (“magnaccia di veline” non sarebbe stata offesa politica). Ghedini però è riuscito a opporsi alla archiviazione del fascicolo e a tenere in piedi un procedimento che probabilmente mai si farà. Per altro se non ci sono molte querele contro Di Pietro- nonostante il linguaggio colorito più volte usato che certamente porterebbe un giornalista diritto a supercondanna- è perché si sa già in partenza che le azioni giudiziarie sarebbero inefficaci. Difficile trovare un collegio di magistrati che dia torto a un ex magistrato a capo del partito dei magistrati. Non solo: l’unica volta che per Di Pietro qualche rischio ci sarebbe stato, perché a querelare era un altro magistrato come Filippo Verde, il leader dell’Italia dei valori ha alzato immediatamente zitto zitto lo scudo che aveva a disposizione in quel momento: quello dell’immunità da parlamentare europeo, che lo ha tolto dalle pesti nella primavera scorsa. L’unica volta in cui avrebbe potuto dimostrare di razzolare come predicava, rifiutando l’immunità parlamentare e diventando davanti alla legge un cittadino come tutti gli altri, Di Pietro ha scelto la comoda pelliccia dell’immunità. E chissenfrega dei suoi di pietrini delusi.